NOSTRI PROBLEMI
Le passioni si scatenano in Tunisia nell’attesa ella data per le elezioni del Presidente della Repubblica che potrebbero essere il 14 , il 21 o il 28 dicembre.
Le prime elezioni presidenziali libere si sono svolte il 23 novembre con 27 candidati di cui due soli concorreranno al secondo turno: Beji Caïd Essebsi e Moncef Marzuki, che hanno ottenuto rispettivamente 39,46% e 33,43% della totalità dei voti.
Se il primo turno delle elezioni non aveva mobilitato massicciamente gli elettori, il cui tasso di assenteismo è stato elevato rispetto alle legislative del mese passato, i risultati ufficiali hanno, seppur in chiave conflittuale, ridato alle presidenziali tutta la loro centralità.
I tunisini hanno pensato che le legislative fossero più importanti delle presidenziali probabilmente perché rispetto al vecchio regime pre-rivoluzionario la nuova costituzione ne limita i poteri ma, la prossimità dei risultati tra i due candidati Essebsi-Marzuki, e la violenza dei toni che ha caratterizzato la proclamazione dei risultati, ha ridato allo scontro politico tutto il suo vigore.
Se, in effetti, un secondo turno era piuttosto scontato, meno scontato è stato lo scarto minimo tra i due candidati che ha riacceso polemiche, affievolito sicurezze e soprattutto mostrato quanto il dibattito su quale modello di società adottare sia ancora nel cuore dei tunisini. L’accesa polemica a cui assistiamo in questi giorni riassume e condensa la paura dei tunisini: se votiamo Essebsi votiamo per la contorivoluzione? Se votiamo Marzuki votiamo per il ritorno di un potere che si è rivelato fallimentare? Votare Essebsi significa votare per una gestione secolare del potere mentre votare Marzuki significa votare per una visione teocratica del potere?
In questo clima di tensioni ideologiche inizia la campagna elettorale che ha visto subito il Presidente uscente Marzuki posizionarsi nel campo dei democratici e dei laici e confinare Essebsi nel campo della dittatura e del vecchio regime, paventando lo spettro di un revanchismo politico che avrebbe visto la sconfitta della rivoluzione della dignità e della libertà. Essebsi al contrario ha letto i risultati ottenuti dal suo rivale come un posizionamento in suo favore del Partito islamista (secondo partito politico tunisino), delle frange più estreme dell’islamismo politico e delle Leghe per la protezione della Rivoluzione(LPR).
Se è vero che il manicheismo elettorale sta oscurando la dialettica ed il giudizio politico, è vero anche che queste elezioni stanno riaccendendo tutte le paure di instabilità, d’insicurezza e di guerra delle parti che sembravano essersi allontanate con i risultati equilibrati delle elezioni parlamentari.
Come leggere questi posizionamenti e come un candidato che dichiara essere un laico e di sinistra puo’ essere appoggiato dalle frange più estremiste dell’islam politico?
Il presidente uscente Marzuki ci ha abituati in questi ultimi anni a posizioni contrarie in funzione del pubblico al quale si rivolge: farsi accompagnare nel suo giro elettorale da personalità religiose estremiste, non partecipare al Dialogo Nazionale, premiare donne in velo integrale mentre si svolge una battaglia all’Università per le libertà accademiche, ricevere al Palazzo di Cartagine esponenti delle LPR, le stesse che si sono distinte per violenze contro giornalisti, intellettuali ed artisti e nel contempo dichiarare ad una giornalista francese di essere laico e di sinistra per ottenere voti o comunque destabilizzare parte dell’elettorato democratico e/o di sinistra. Le sue dichiarazioni contro la laicità e la sinistra avevano pero’ suscitato pochi mesi orsono le ire dei democratici e di tutta l’ala della sinistra tunisina e mi riferisco in particolare ad un’ intervista rilasciata sul canale satellitare Al Jazeera il 25 marzo 2013 nella quale metteva in guardia i democratici e l’opposizione alla Troika affermando che se un giorno “fossero riusciti ad essere al potere” avrebbero avuto come risposta “una grande rivoluzione più importante della prima” rischiando di incorrere in pene capitali quali “l’impiccagione”.
Dall’altra parte abbiamo la figura di Essebsi che suscita eguali controversie perchè essendo stato varie volte ministro nel governo di Burghiba e deputato dal 1990 al ‘91 sotto Ben Ali, prima di ritirarsi dalla vita politica sino alla caduta del primo governo di Mohamed Ghannouchi nel 2011, è percepito come possibile ritorno al passato anti-democratico.
Ma questa lettura seppur possibilista riflette la realtà?
Non dobbiamo omettere nella nostra riflessione di ricordarci che è stato proprio Essebsi in quanto Capo del governo provisorio nel 2011 che ha permesso l’organizzazione delle prime elezioni libere in Tunisia e che ha ceduto il suo potere al candidato della troika vittoriosa alle elezioni, Hamadi Jebali, pacificamente e senza contestarne i risultati, attitudine che ci sembra responsabile e democratica. La sua età ci permette anche di supporre che non sia il potere in quanto tale ad essere la finalità politica e personale del candidato ma piuttosto il rimettere il paese sui binari dello sviluppo. Ridare allo Stato il suo ruolo, permettere al paese di riacquisire fiducia nel suo avvenire, lottare contro l’instabilità del paese e per la sua sicurezza gravemente minacciata, sono sfide maggiori per Essebsi che, se eletto, dovrà affrontare pur mantenendo vivi gli ideali di dignità e di libertà della rivoluzione. Riuscirà Essebsi a non deludere i suoi probabili elettori? La società civile tunisina ha dimostrato in questi ultimi anni di essere vigile alle derive anti-democratiche e su queste occorre fare affidamento.
I nostri problemi specifici: dopo il rinvio delle elezioni del Comites che ha diluito l’interesse per le stesse rinviando spesso il dibattito sulle questioni che travagliano le collettività italiane nel mondo a tempi indefiniti ed incerti ci chiediamo se effettivamente questo spostamento ha determinato una maggiore partecipazione dei futuri votanti o se al contrario se il rinvio della data delle elezioni non le abbia marginalizzate. Ma proprio perché votare i suoi rappresentanti costituisce una delle più alte espressioni e garanzie della democrazia auspico che tutti gli italiani si iscrivino al voto, qualunque lista scelgano, perché come diceva fu Elia Finzi, una collettività senza voce è una collettività che non si proietta nel futuro e che non può né potrà farsi sentire.
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